Il mattatore della scorsa stagione teatrale romana, Edoardo Sylos Labini, che ha portato in scena 3 spettacoli in un anno riscuotendo consensi e mostrando grande entusiasmo e versatilità, si mette in gioco all’inizio di questa nuova stagione con un lavoro che ha riscritto, diretto e prodotto oltre ad esserne, ovviamente, l’interprete principale.
Il titolo è “Bang Bang !!”: una famosa band musicale ed il suo leader presentano al pubblico il loro nuovo album “Bang Bang!!”, composto da sette pezzi più il singolo che da il nome alla rappresentazione. Protagonisti della scena, sono otto caratteri che affrontano quello che stiamo vivendo politicamente, socialmente ed affettivamente ai giorni nostri, in una irrefrenabile ed ironica compilation di personaggi in deflagrazione. Si passa dall’artista disilluso alla trans neomelodica, dal manager iperteso al cane dell’italiano medio, dal boss camorrista anti–Saviano fino al fragile disadattato metropolitano. È senza dubbio un’occasione per ridere delle nostre nevrosi di massa, ma ridere non è necessariamente un sintomo di divertimento, può anche andare di pari passo con la riflessione.
“Bang Bang !!”, omaggio al profetico “Sesso Droga E Rock 'N Roll” (1992), è un ironico canto disperato di chi sa che ormai non è più lecito nemmeno il desiderio di poter esser ciò che si vorrebbe essere... forse di ciò che si dovrebbe essere.
Sylos Labini presenta la sua nuova “stand up commedy”, coaduivato da un juke box vivente, Ottavia Fusco e dalla sua “strampalata” e straordinaria band, il dj Antonello Aprea (Coccia), il bassista Mario Rivera (Ciccio), le tastiere di Gianfranco Mauto (Gionfri).
«“Sesso Droga” è stato il punto di partenza – ci dice Sylos Labini in un’intervista – in questo testo profetico, Bogosian ci ha raccontato nel ‘92 quello che sarebbe successo nella nostra società occidentale. Si parlava dell’era Reaganiana e dei fatti avvenuti in quegli anni negli Stati Uniti, ma venti anni dopo situazioni simili si sono verificate anche qui da noi. Io ho preso spunto da quel climax, per dipingere gli otto protagonisti della commedia. Non si tratta di un adattamento ma di una riscrittura, un omaggio ad una drammaturgia ancora tagliente e dissacrante. Mi interessava parlare della nostra vita quotidiana, dei nostri fantasmi, di ciò che viviamo freneticamente ogni giorno.»
Non deve essere facile, certo, passare dalla commedia, al testo drammatico, al lavoro futurista, affidandosi sempre alla stessa formula di disco teatro… «Il lavoro che faccio da anni con il mio staff e più in particolare con il dj Antonello Aprea è un percorso di costruzione di spettacolo ormai collaudato: arrivo all’interpretazione di un personaggio appoggiandomi alle musiche, alle sonorità che provengono dalla consolle dj. La drammaturgia diventa come una partitura ed il personaggio esce, si materializza quasi da solo. Non c’è psicologia del personaggio per arrivare all’interpretazione, c’è suggestione, “pancia” applicata ai suoni di un vinile e ai rumori musicati»
E quanto conta la tua formazione musicale in tutto questo, allora? Quanto “ti alleni” ad ascoltare musica nel prepararti?
«Nel mio modo di affrontare uno spettacolo partendo dalle sonorità, dalle suggestioni e dalle improvvisazioni che una musica puo’ ispirarti sicuramente ha avuto un ruolo importante l’esperienza fatta nel 1997 con Giancarlo Sepe nello storico “Ballando, ballando”. Fu uno spettacolo molto formativo per me, l’uso che Sepe fa della musica ha avuto una forte influenza sul mio modo di vedere il teatro. E’ stato un punto di partenza che mi ha spinto anche l’anno seguente a mettere in scena il mio primo spettacolo da solista Rum e Vodka di C. McPherson (regia di Nicola Zavagli) con l’ausilio in scena di una consolle dj. Lo spettacolo nacque grazie alla collaborazione con Barbara Ottaviani cantante dei Babyra Soul che mixava e cantava dal vivo interagendo con la mia interpretazione, era il mio juke box vivente. L’idea piacque molto e funzionava ma Barbara poi partì per andare a lavorare a Londra e quindi fu sostituita da Antonello Aprea con il quale ho approfondito questo mio particolare modo di costruire uno spettacolo (il DISCOTEATRO). Con lui abbiamo creato un connubio artistico che anno dopo anno a piccoli passi ci sta portando verso platee sempre piu’ importanti»
Il Teatro Cassia è uno spazio di portata superiore rispetto a quelli in cui ti abbiamo visto in passato, come pensi di vincere questa sfida? Cosa speri che trattenga il pubblico a te affezionato e cosa, di questo lavoro, potrebbe attirarne uno nuovo?
«Se da un pub passo al teatro Cassia o da una “cantina” al Duse di Bologna non snaturo di certo il senso del mio lavoro, affronto lo spazio che mi ospita, teatralizzo l’evento e faccio i conti con la maggiore distanza dal pubblico ma cercandolo continuamente e fisicamente; mi piace averlo comunque sempre a portata di mano, mi piace che il sudore si possa vedere in primissimo piano. Credo che una grande platea non sia un limite per questo, anzi l’animale di scena si elettrizza se il pubblico è sempre maggiore. Le corde attoriali che ho sono più indirizzate verso la performance che verso la fine esecuzione dell’attore perfetto. Insomma: i miei difetti cerco di metterli in scena di non nasconderli, per questo motivo, sia in un grande teatro che in un garage sotto casa affronterò il lavoro nella stessa maniera. Ho sempre sentito il bisogno di imporre un mio stile recitativo che comunque subisce l’influenza del mondo che mi sta intorno: quello dei computer, della comunicazione scheggiata e rapida, dei suoni di una metropoli. E penso che oggi anche il pubblico abbia bisogno, per essere catturato, di un linguaggio nuovo più al passo con i tempi che viviamo. Voglio dire: la generazione degli abbonati da prima fila con moglie in pelliccia e marito che russa sta scomparendo per chiari motivi anagrafici e per scollare dalle loro tv migliaia di persone (potenziale pubblico teatrale) c’è bisogno di osare, di provare a proporre anche nei teatri più grandi spettacoli d’innovazione»
So che stai organizzando anche una replica di lunedì, il 19 ottobre, serata in cui abitualmente i teatri chiudono, per invitare gli “addetti ai lavori”, i tuoi “colleghi” che non lo hanno ancora fatto, a conoscerti…Che aspettative hai?
«È da anni che molti teatri propongono di lunedì interessanti serate con spettacoli, mise en space, concerti che spesso non trovano collocazione nella stagione ufficiale. Sono iniziative da ripetere in modo che anche quella possa essere una giornata particolare con incontri anche dopo gli spettacoli per confrontarsi e tornare a creare sinergie e scambi tra gli operatori teatrali ma anche per far partecipare il pubblico alle discussioni e capire i cambiamenti che stanno avvenendo nel nostro Paese. Viviamo un momento difficile per la cultura e lo spettacolo dal vivo ma invece di piangerci addosso e di organizzare funerali forse è più utile il confronto, persino lo scontro se costruttivo e qual è la migliore occasione di farlo se non in occasione di una serata a teatro? Si fanno migliaia di trasmissioni sul calcio, addirittura approfondimenti sui reality e noi che facciamo? Stiamo zitti a guardare? No, dobbiamo creare sempre, anche di fronte a mille difficoltà, come fa un artigiano nella sua bottega».
Teatro